My second major is Italian and, unfortunately, there is very little material available on the internet that can help my work, and I am mainly talking about secondary sources. That's why I thought that I would share my corrected essays, maybe I can help others who share my topics!
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“La Leggenda Dei Monti Naviganti” di Paolo Rumiz
Scrittore e giornalista
Paolo Rumiz parte per un’avventura, un viaggio di circa 8.000 chilometri che inizia
a Trieste, dove le Dolomiti si specchiano nel mare e arriva fino ai monti
calabri degli Appennini, lungo tutte le Alpi che s'incrociano coi monti sopra
Cuneo, e poi, in Liguria, con le valli dell'Oltrepò. Il libro e diviso in due
parti, e ciascuna di esse in otto capitoli.
Rumiz
parte dalla Croazia, nei pressi di Fiume, dove va a cercare l’inizio delle Alpi
e si capisce subito che i croati non sapevano proprio di essere una nazione
alpina. Comincia l’escursione con la visita dei luoghi della Prima Guerra Mondiale,
tra cui Isonzo, e ascolta testimonianze dei sopravvisuti alla guerra. Poi sente
storie di orsi – un animale che ritorna sempre nei suoi racconti – numerosi in
Slovenia, che non solo vengono importati, ma spesso vanno fino in’Italia per
soddisfare la loro curiositá. Il viaggio prosegue con una camminata in montagna in Carinzia con Jörg Haider (politico
austriaco, leader del partito conservatore: FPÖ - Partito della Libertà
austriaca).
Arriva
poi nella valle del Vajont. Accompagnato dall’alpinista Mauro Corona, camminano
verso la frana che causó la tragedia del Vajont. Nel 1963 una frana partita dal
sovrastante Monte Toc devastó la struttura della diga, appena terminata tutta
l’acqua racchiusa la scavalcó poi – come un diluvio di proporzioni bibliche –
scese a valle e trascinando via i paesi lungo il suo percorso. Oggi, dappertutto, si vedono orme di cervi che
camminano su una terra che per molti é un cimitero. Corona viveva in uno di quei paesi e perse la propria famiglia. “Prima
del lago, qui c'era una forra e in fondo vi confluivano tre torrenti. Intorno
c'era un inverso. A destra i mulini, a sinistra le segherie. «Lì era la casa di
mio nonno, là quella di Cate, lì c'erano gli Scarpa.» Mauro disegna a memoria
la geografia delle cose perdute. «Lì i Ninin, là Dina, i Pietrin. E poi i
Menolin, le Spesse. E la casa dei Paul, omoni dalla forza leggendaria. Uno di
loro lottò con un orso, a una fiera in Carinzia. E vinse»” (p. 50). Tanti anni dopo il disastro, la diga é in
perfette condizioni perché l’Enel spende soldi a mantenerla, nonostante a causa
di frane l’area intorno sia pericolosa e, piú importante ancora l’acqua non abbia
mai raggiunto lo stesso livello. L’autore si arrabbia sopratutto per il fatto
che quell’incidente pare essere stato dimenticato, benché abbia portato con sé
una devastazione di livello immenso.
Rumiz
continua il suo viaggio e si trova nel traffico bloccato della pianura veneta. La pianura é vuota e le acque
dalle montagne scendono piú in fretta, in meno di sei ore, gli fu detto.
Conosce Giovanni Parolin, che gli racconta di come fu cacciato insieme alle sue
pecore da politici che non ne sapevano niente della vera geografia dell’area.
Questa risultó nella desertificazione del Piave. L'estinzione dell'agricoltura
e della cultura del mondo contadino. Segue l’arrampicata insieme a Mario Rigoni
Stern, scrittore e veterano della Seconda Guerra Mondiale, per poi perdersi
alberi del legno adatto a costruire violini. Nel bosco ascoltano insieme attentamente,
perché anche gli alberi suonano!
Ed
ecco come ombre nella notte che mettono paura persino a un rottweiler, gli orsi
del Trentino si fanno vivi. Rumiz ascolta un dibattito tra quelli che sono
capaci di convivere con gli orsi, e quelli che sono contrari alla coabitazione.
Mi é piaciuto molto questo capitolo perché descrive come, anche gli orsi, si
spaventino quando vedono l’uomo, benché non abbiano problemi ad avvicinarsi e a
rubare loro il mangiare. É proprio questo il problema dei contadini, quando
pecore e polli spariscono. Ma é, comunque, divertente immaginare un orso urlare
dalla paura come una persona quando incontra un essere umano vicino a un pozzo.
Rumiz
fa poi conoscenza con Ryszard
Kapuściński a Bolzano. Cominciano a parlare, e il giornalista scrittore polacco
gli racconta del dolore che prova, quando la gente gli dice “raccontaci
qualcosa”. Ha avuto tante avventure ma in quei casi si sentì come un pagliaccio
creato con l’intento di divertire la gente e, in un certo senso, l’importanza
del suo lavoro in quei momenti perdeva rispetto. Segue il viaggio in treno da
Verona verso Monaco di Baviera, un viaggio che sembra un’eternitá su un treno praticamente
deserto per il quale quasi non riuscí a comprare il biglietto. Il vagone su cui
era salito aveva le porte automatiche e una era rotta. Faceva uno strano rumore
di fischio ogni volta che si chiudeva, ma il problema era solo che non si
chiudeva bene.
Il
viaggio si sposta nella valle di Ötz, dove scomparve Herr Helmut Simon, scopritore di Ötzi e là
ascolta due versioni della stessa storia, cioé di come la provincia di Bolzano
riuscì a sottrarlo all'Austria. Ötzi é una mummia che si era preservata per
millenni nel ghiaccio della valle di Ötz. Ci furono molte discussioni su chi lo
avesse scoperto e a chi appartenesse veramente: il paese in cui si trova la
valle, oppure la nazione dello scopritore? Si puó decidere da soli, ma rimane
il mistero di dove sia finito Herr Helmut, e se, ossessionato dalla sua mummia
abbia cercato la stessa fine.
Segue la salita in bici verso il passo dello
Stelvio, il più alto valico lastricato delle Alpi Orientali e il secondo più
alto delle Alpi, a soli 13 m al di sotto del francese Col de l'Iseran. Il viaggio
continua in treno in Svizzera attraverso il cantone dei Grigioni: “Il trenino
svizzero lo riconosci prima dall’odore. Non emana quell’amalgama stagionato di
piscio, diserbante e sudore che regna nelle nostra stazioni” (p. 108). Incontro
con Fausto De Stefani, alpinista conquistatore e poi incontro con Walter
Bonatti, uno dei più grandi alpinisti del mondo.
Nella valle Bavona, invece,
vede una cosa strana, sì, un’altra frana, peró le persone ci vivono dentro. Non
si sono mai lasciati sconfiggere dalla loro posizione geografica. Lo scrittore passa
la notte a scrivere, “e a Bavona quando piove, piove sul serio” (p. 133-4), e
racconta di ció che ha sentito la sera prima. In un bar comincia a parlare con
un avventore che gli racconta di quando le compagnie dell’elettricitá erano
arrivate nella valle e offrivano lavoro ai contadini: lavorare sulle dighe
pagava molto meglio, ovviamente, e risultó che la gente cambió mestiere. E,
infatti, quando le dighe divennero autonome, le persone rimasero senza lavoro e
senza conoscenza del loro vecchio mestiere. Eccezione la Valle di Bavona, che
rifiutó l’elettricitá anche quando la diga gli fu regalata gratis. L’autore
dice, che se si vuole stare al buio, é qui che si deve venire. La Valle Bavona
si sostiene con la propria agricoltura e i contadini vivono insieme ai loro
animali, ma non tutte le valli delle vicinanze furono cosí fortunate.
Se qualcosa si distacca
dal monte, non lo si puó mai piú riattacare. L’autore si trova sul ghiacciaio
del Belvedere che si muove ad una velocità di trecento metri all'anno a causa
del cambiamento del clima. Segue l’incontro con Genulin, “vai dal Genulin!”
(p.141), patriarca e memoria storica del paese di Curino in provincia di Biella.
Genulin, piú che un uomo é una biblioteca e racconta la propria storia come se
fosse successa il giorno prima. Su uno dei sui tragitti ebbe la fortuna di
conoscere la storia di Francesco Bider, “una volta che il male lo riconosci,
devi affrontarlo” (p. 146), operaio del biellese, che si arruolò
volontariamente nel Esercito di Liberazione del Kosovo e morì in guerra. Pernotta
poi all'Ospizio presso il passo del Gran San Bernardo, che é sempre aperto per
soldati, alpinisti, e ogni singola persona che cerca un tetto sopra la testa
per la notte.
Segue un’altra tragedia, quella ai piedi del Monte
Bianco: la catastrofe del 1999, quando un camion prese fuoco nel tunnel della
montagna. Il tunnel é lungo oltre 200 km e, all’inizio fu costruito su
richiesta della gente. Dopo l’incidente peró, fu presa la decisione di deviare
il traffico pesante. Ne seguí, che si ricominciò a sentire il suono di ruscelli
e a vedere fiori che non erano coperti di carbone. Nonostante l’intento iniziale
fosse quello di collegare le due parti del Monte Bianco, non ne era valsa la
pena per tutta la distruzione che il tunnel ha causato. Gli italiani erano pieni
di speranza, perché dopo l’incidente il problema divenne nota a livello europeo
e le compagnie francesi che costruivano quei tunnel avevano le mani legate. Gli
italiani cercavano di sottolineare che il tunnel non era sicuro nemmeno prima
di essere aperto alle macchine: troppo lungo, basso e la ventilazione non
funzionava bene. Si aggiunge pure il fatto che prima del tunnel c’é una salita,
e le macchine arrivano con i motori surriscaldati. Insomma, la catastrofe é
destinata a ripetersi.
L’autore si sposta quindi nei
pressi del Gran Paradiso e per strada discute con un locale sul declino della
vita montana dovuta all'industrializzazione; quest’ultimo gli dice che i
montanari non erano fatti per lavorare in industrie: sono anche loro selvaggi.
E quando la gente ha cominciato a spostarsi in pianura, le donne li hanno
seguiti. Infatti, racconta che ha 65 anni é non si é mai sposato, perché anche
se le donne hanno cominciato a ritornare, sono diverse e la vita in cittá le ha
cambiate. Poi, fa l’esempio dell’Olivetti più rispettosa della Fiat della
cultura montanara, perché non voleva che i suoi operai dovessero muoversi.
Mandavano ogni mattina un autobus a prendere gli operai e li portavano anche a
casa. Ma la vita cambió e con essa anche la faccia dell’industria.
La fine del capitolo narra l’incontro con Diego De
Castro, testimone dell'inizio della Grande Guerra; Rumiz lo conosceva bene e
tornava da lui ogni volta che aveva bisogno di informazioni. L’uomo aveva una
memoria di ferro, e raccontava della propria infanzia, come fosse successa il
mese prima. Prima della sua morte, fece scrivere a Rumiz quattro volte il
proprio necrologio.
Poi Rumiz si mette in sella, e va in bici sul
Colle dell'Agnello alla vigilia del Giro d'Italia del 2001, e, quindi Infine,
viaggia in bici fino a Nizza e poi l’autore decide di tornare in Italia,
sentendo che gli Appennini lo aspettano.
Nella seconda
parte del libro racconta come gli era venuto in mente l’idea del viaggio quando
mentre visitava il nuovo traforo per l’alta velocitá tra Firenze e Bologna per
un servizio giornalistico. Partì quindi per esplorare gli Appennini su una
Topolino, una piccola macchina, abbastanza lenta da permettergli di apprezzare il
paesaggio.
Il viaggio
comincia in Liguria, ai passi di Faiallo e del Turchino, insieme all’amico
Albano Marcarini. Prosegue verso il Piemonte nel Dova Superiore, dove i due
incontrano il parroco don Luciano, che racconta loro che in quei piccoli paesi
italiani il parrocco é piú importante del sindaco! Ma, purtroppo, molti di quei
posti furono abbandonati e la cultura locale si sviluppò, e in un certo senso
si é persa.
Purtroppo la
macchina ha qualche problema, e bisogna far arrivare una dinamo di ricambio da
Bologna. Dopo averla ricevuta, Rumiz stenta a credere che arriverá fino in
Calabria. La sua tappa successiva lo porta nella provincia parmense, a
Noveglia, chiamata dai suoi residenti il posto“dove il mondo finisce”. Rumiz
non ci crede molto, ma vede poca gente e una signora gli spiega che dipende da
degli animali: per ripopolare l’area sono stati portati serpenti, vipere e
poiane e non é piú possibile lasciare libere neanche le galline. Lui reagisce
dicendo: “Di nuovo animali! Mi sento un monaco amanuense che sfoglia un
bestiario mediovale” (p. 214). Il viaggio continua attraverso le Alpi Apaune,
dove racconta di una lotta partigiana, in cui nel 1945 le donne attirarono le
truppe tedesche in una trappola e poterono disarmarli completamente.
Dopo essere
passato dalla Toscana in Emilia per l’Abetone, Rumiz racconta di italiani
emigrati, a cui seguirono da ricordi della Seconda Guerra Mondiale. Prima
visita il cimitero tedesco sul passo della Futa, poi, a Predappio, la cappella
di Mussolini e a Meldola si ferma per la commemorazione di Antonio Carini, conosciuto
come Orso, un eroe partigiano membro del Comando Generale delle Brigate
Garibaldi, massacrato dai fascisti.
Entrati nelle
Marche arriva un temporale e Rumiz con il compagno Franco Poselli sono
costretti a fermarsi a causa dell’acqua del temporale che era entrato in certe
fessure dell’auto. Siccome il tempo non migliora, non vuole ripartire accompagnato
con la macchina, parte in un’Ape a tre rotelle, che portò Rumiz a visitare una
cappella costruita dalle stesse mani dell’autista. Ginetto é stato internato in
Germania durante la guerra, e soppravvissuto, costruì la cappella con le pietre
di una vecchia chiesa e la dedicó ad un santo – sicuramente lo stesso che gli aveva
salvato la vita, dice l’autore – per potersi poi sposarci. Sicuramente aggiunge
Rumiz finché ci sará Ginetto, a San Severo i santi ci saranno sempre.
“Ma in questo
angolo del Lazio, attorno al Terminillo e ai Monti Reatini, non trovo nemmeno
la consolazione di uno straniero; il vuoto umano é totale” (p.264), dice mentre
passa tra i monti Sibillini e i Reatini, dove c’erano voci di negromanzia e di
etruschi. Villa Pulcini sembra deserta, ma solo perché la gente era in chiesa e
dopo la messa Gina, la proprietaria della locanda si diverte a raccontargli la
storia del paese, essendo il suo unico cliente. Ci vivono gli ultimi praticanti
della tradizione orale della sfida poetica all’ottava rima. Anche lei é figlia
di di un poeta, e gli comincia a fare rime, una dopo l’altra. Il viaggio
prosegue, ora insieme al figlio Andrea, con cui arriva in Molise, descritto
come un paesaggio svizzero ai piedi delle Alpi. Una regione assai unica, che
dovrebbe appartenere all’Italia del Nord, invece é persa nel Sud-Est della
penisola.
Sulla statale 17 deve
attraversare la prima parte del viaggio su un tratto rettilineo. Si era
promesso solo colline e montagne, niente pianure, eppure deve sorpassare quel
tratto. Si sente stanco, e guardandosi nello specchio “mi scopro identico a mio
padre” (p. 292). Racconta che pure la macchina é identica alla sua e ricorda
che gli faceva il letto sul sedile posteriore prima di partire, dove lui dormiva
a cuccia.
Vuole fermarsi a
riposare, ed ecco che ritornano le colline e arriva ad Aquilonia in Campania.
Quel paese era chiamato Carbonara, ma fu rinominato per punizione da Vittorio
Emanuele II per la sua opposizione all’Unitá d’Italia. Non solo fu l’unico
nella storia a ricevere un trattamento cosí, ma poi venne anche distrutto da un
terremoto nel 1930, come se la sfortuna fosse proprio nata e rimasta in quel
posto. Segue la Basilicata, e poi il rientro in Campania dove si ferma a
Calitri, paese d’origine della sua famiglia. Alla fine del capitolo parla della
Topolino, e racconta di come non sapeva se la sua macchina fosse un maschio o una
femmina. Comunque una signora vera e propria! La gente a sud gli fischiava
dietro, tutti la volevano guardare, da davanti, da dietro, e perfino i camion
lo lasciavano passare. Il momento piú divertente fu peró quando anche i vigili
lo fermano per poter ammirare la macchina, ormai ritenuta una classica.
L’ultimo capitolo
comincia con una descrizione che, chiunque abbia giá viaggiato per le
autostrade italiane ha conosciuto: gli automobilisti guidano al centro della
strada. Arriva poi, allo stretto di Sant’Eufemia e Squillace, dove il vento di nord-ovest
del Tirreno incontra lo Ionio, e “accelera come il Danubio sotto il Monte
Gellért a Budapest” (p. 329). Infatti gli si dice che in questo posto sullo
Ionio ci si muore e non ci dovrebbe andare. A Reggio Calabria, la paura che
aveva al primo guasto dell’auto diviene realtá e la macchina si ferma di nuovo,
ma fortunatamente incontra per caso un escursionista che la sa aggiustare. A
questo punto del libro si sente che anche l’autore vuole arrivare a un lieto
fine; e quando arriva al punto piú a sud della penisola, dopo aver attraversato
la stessa strada che fece Garibaldi nel 1862, vede che attorno a lui – tenendo
conto di tutto il viaggio e tutto quello che ha visto, tutto il movimento -
l’immagine davanti agli occhi sembra una fotografia ferma.